Come votai al ballottaggio del 2016

Richard Pryor fu un attore e autore americano. In Italia era conosciuto per lo più per i suoi ruoli al cinema, ma in realtà è stato anche un grandissimo comico di stand-up. I suoi spettacoli avevano formato generazioni di comici. Gente come Eddie Murphy, Dan Akroyd, Steve Martin hanno imparato il mestiere da Pryor.

Per la mia generazione cresciuta grazie ai film passati sulle televisioni locali dai nomi assurdi come TeleBenevento, TeleSannio, Canale 21, Tele Capri, Richard Pryor era famoso per lo più per un suo ruolo da protagonista nel terzo film di Superman, e per i film girati in coppia con quell’altro genio di Gene Wilder. Tra gli anni 80 e 90 avere informazioni sugli attori americani meno famosi era quasi impossibile, avevamo solo Ciak, la rivista di cinema, e Sorrisi e Canzoni TV come fonti. Sorrisi lo trovavamo sempre a casa di qualche zia o nonna, ma per avere Ciak! dovevamo mettere i soldi da parte o chiedere un favore a papà. E comunque le informazioni che ci arrivavano erano filtrate dagli uffici stampa e dai giornalisti italiani. Da noi arrivavano solo notizie di matrimoni tra star, notizie di incidenti stradali o morti da overdose.

Solo molti anni dopo scoprì dei mille problemi che Richard Pryor aveva avuto in vita: sette matrimoni falliti, lunghi periodi di abusi di droghe, un carattere difficile, una persona che non era amata dai colleghi. Per capire il tipo, basti pensare che nel 1980, dopo aver passato giorni e giorni a fumare crack, Pryor si cosparse il corpo di rum e si dette fuoco. Nudo e in fiamme, corse fuori dalla sua villa di Los Angeles, fino a quando non fu bloccato ed arrestato dalla polizia. Venne trasportato in ospedale con ustioni su gran parte del corpo e passò sei settimane ricoverato nel reparto grandi ustionati. In seguito, nel corso di un’intervista, disse: «Cercai di suicidarmi. Prossima domanda».

“Chi più spende… più guadagna!” è un film di Walter Hill, altro pezzo importante della mia formazione politica e morale, con Richard Pryor nei panni di un giocatore di baseball che riceve una grossa eredità da un lontano zio. L’avvocato dello zio deceduto spiega a Richard Pryor che per accedere a tutta l’eredità dovrà sottoporsi ad una prova, dovrà spendere diversi milioni di dollari in poche settimane. Lo zio, prima di morire, aveva architettato tutto questo piano per insegnare al futuro erede il vero valore del denaro. Lo so, sembra che abbia poco senso, ma era tutto un trucco per mettere in moto la macchina comica del film.

Col passare dei giorni il personaggio interpretato da Richard Pryor scopre che sprecare soldi è complicato, si finisce sempre per comprare oggetti di valore o servizi che comunque poi portano ad altra ricchezza. Anche comprando gioielli, quadri o altri beni, l’ex giocatore di baseball scopre che la sua ricchezza non diminuisce. Ad un certo punto decide di comprare le azioni di borsa più scarse che ci siano sul mercato, ma anche questo si dimostra un investimento che in pochi giorni lo porta ad avere un ricavo.

Penso che film come questi mi abbiano in fondo insegnato ad aver una certa diffidenza verso i grossi capitalisti o le persone con grandi redditi. O forse, più che diffidenza, un certo senso di superiorità. Anche oggi che ho più esperienza e non sono più il ragazzino seduto sul tappeto di casa a pochi centimetri dal tubo catodico della televisione, non riesco a non pensare che avere una ricchezza alle spalle, una base di partenza, renda davvero difficile fallire nella vita. Oggi le persone che spesso disprezzo di più sono quelli che hanno avuto la fortuna di nascere in famiglie ricche e potenti, ma che non sono riuscite a costruire nulla su quella loro ricchezza.

Nella seconda parte del film, Richard Pryor trova il settore giusto dove sprecare una grande quantità di soldi: entra in politica e partecipa alle elezione del sindaco di New York. Però, per poter davvero sprecare il suo patrimonio, non deve correre il rischio di essere eletto, perciò decide di lanciare una campagna politica contro i due veri candidati a sindaco, quello repubblicano e quello democratico. Nasce così la campagna “Nessuno dei suddetti”, fatta di pubblicità in televisione, volantinaggio e comizi, in cui Richard Pryor spiega perché i due candidati a sindaci erano le persone sbagliate da eleggere. Perché, diceva, non dobbiamo essere costretti a scegliere tra due persone che faranno malissimo alla nostra città, dobbiamo mandare un messaggio ai partiti e spingerli a trovare candidati migliori, perché nessuno di questi due è degno di essere il sindaco di New York e perciò dobbiamo scrivere sulla scheda “Nessuno dei suddetti”.

Ed è per questo che, circa trent’anni dopo, nel 2016 io scrissi sulla scheda elettorale “NESSUNO DEI SUDDETTI”.

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We’ll meet again

Ieri era il mio compleanno e ho scoperto che Vera Lynn è ancora viva. Ieri anche Vera Lynn ha compiuto gli anni, ne ha fatti 103. Tutti gli appassionati dei Pink Floyd sanno chi era Vera Lynn perché nel disco “The Wall” (1982) c’è una canzone intitolata “Vera” che è dedicata a lei. Vera Lynn è una cantante inglese che fu molto attiva negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. Nel 1939 incise la sua canzone più famosa: “We’ll meet again”, ci incontreremo di nuovo.

We’ll meet again, don’t know where, don’t know when,
But I know we’ll meet again, some sunny day.
Keep smiling through, just like you always do,
‘Til the blue skies drive the dark clouds far away.

Ci incontreremo di nuovo, non so dove, non so quando, ma sono certo che ci incontreremo ancora, in un giorno di sole. Continua a sorridere nel frattempo, come hai sempre fatto, fin quando il cielo blu non porterà via le nuvole oscure.

Nel 1964 Stanley Kubrick usò la canzone di Vera Lynn sui titoli di coda del “Dottor Stranamore”. Ma in quel caso Kubrick usò il testo della canzone in modo ironico, perché il film terminava con l’inizio dell’olocausto nucleare.

(Quando ero un adolescente, negli anni ’80 del secolo scorso, l’olocausto nucleare era l’incubo con cui tutti convivevamo, era lo scenario apocalittico più probabile a quel tempo.)

La canzone dei Pink Floyd su Vera Lynn è molto breve e fa così:

Does anybody here remember Vera Lynn
Remember how she said that
We would meet again
Some sunny day
Vera! Vera!
What has become of you
Does anybody else in here
Feel the way I do?

Non c’è nessuo qui che si ricorda di Vera Lynn?
Ricordate che diceva che
Ci saremmo incontrati ancora
In un giorno di sole?
Vera! Vera!
Cosa ti è successo?
C’è qualcun altro qui
Che si sente come me?

“The Wall”, lo sapete tutti, racconta la storia di Pink, il cui padre è morto da giovane in guerra. Questa morte ha creato un trauma profondo nella mente di Pink, tanto da portarlo ad isolarsi sempre di più dalle altre persone. Il disco racconta la storia del “muro” che Pink costruisce tra sé e gli altri.

Il 21 luglio del 1990, a Berlino, Roger Waters mise in scena “The Wall”. Lo fece per celebrare la caduta del muro di Berlino e la fine dei regimi dell’Est Europa.

(Per noi ragazzi in qualche modo era anche la celebrazione della fine della guerra fredda e della scomparsa del rischio nucleare)

L’esecuzione di “Vera” in quel concerto fu particolarmente toccante perché quando Waters finì di cantare entrò sul palco il coro dell’Armata Rossa per cantare uno dei miei pezzi preferiti di quell’album “Bring the boys back home”.

Il coro dell’Armata Rossa, vi rendete conto. Io se ci penso ho ancora i brividi.

We’ll meet again.

Un abbraccio a tutti.

 

La storia di Martha Mitchell e del Watergate

In questi giorni ho ascoltato la prima stagione di Slow Burn, un podcast in otto puntate che ricostruisce la storia del Watergate e dell’impeachment a Nixon.

Ci sono un sacco di storie poche conosciute al grande pubblico e personaggi poco noti al di fuori degli Stati Uniti. Tra questi personaggi c’è Martha Mitchell.

Martha era un personaggio famosissimo all’epoca, era la moglie di John Mitchell, uno degli uomini di fiducia di Nixon. John Mitchell era stato attorney general (una specie di ministro della giustizia) fino al marzo del 1972 e si era dimesso per diventare il responsabile del comitato per la rielezione di Nixon (il ’72 era anno di elezioni in America).

Martha Mitchell era un vero personaggio. Era una anticomunista sfegatata, era sempre presente nella pagine delle riviste di gossip, era famosa per le feste che organizzava e per la sua vita sociale. Era anche nota al grande pubblico per il suo “vizio” di parlare troppo con i giornalisti, la chiamavano “Mouth of South”, la bocca del Sud. Spesso tornava a casa la sera e si metteva a telefonare a qualche amico giornalista e passava le ore a telefono.

Nel giugno del ’72 Martha e John Mitchell volarono in California per una serie di eventi di raccolta fondi per la campagna di Nixon. Il 18 giugno John ricevette una telefonata da Washinghton che avrebbe cambiato la sua vita e quella di Martha. Continua a leggere

Bestiario estivo del 2018

Camminante: si sveglia presto la mattina; l’acqua non gli arriva a toccare l’ombelico; è vecchio e canuto; con passo lento si muove a non più di due metri dal bagnasciuga; da sud a nord e viceversa; dice che è un esercizio che fa tanto bene alle ginocchia.

Unicornista: appartiene alla grande famiglia dei selfisti; passa il tempo cercando di trovare la posizione più fotogenica a cavalcioni di un gonfiabile a forma di unicorno; le ore di maggiore attività sono quelle prima del tramonto, quando c’è la luce giusta.

Treppiede: compagno, amico o semplice conoscente di un selfista; vive in simbiosi con il selfista da cui trae prestigio sociale; viene addestrato all’uso dello smartphone; si occupa di scattare foto al selfista.

Alcòlita: membro della setta omonima; venera l’alcol come unica fonte di vita; in estate si aggira per le spiagge alla ricerca del miglior rapporto qualità/prezzo; il suo bioritmo è sincronizzato sul fuso di Carson City (Michigan) ed è per questo che arriva in spiaggia dopo le 2:00 p.m.

Olimpionici: nelle ore più difficili, quando tutto il lido riposa accoviacciato sotto gli ombrelloni, gli olimpionici prendono possesso della spiaggia; si muovono in branco, non più di 5; armati di palloni di plastica improvvisano complessi rituali amorosi per attirare le femmine-

Bicitauro: animale mitologico formato per metà da un ciclista e per metà da un cornuto; struttura sociale a clan; ubbidisce a regole segrete ed oscure; gli scienziati ancora oggi non sanno perché preferiscano andare in bici sui marciapiedi e non sulle strade.

7 belle canzoni per Nunzio

Ho questo amico che ho conosciuto qualche anno fa. Abbiamo imparato a conoscerci prima online, e poi di persona.

Lui si chiama Nunzio ed è un filosofo con la passione per la politica. Ultimamente proprio la politica ci ha aiutato a passare più tempo assieme. Durante una di questi incontri nella vita reale, abbiamo parlato un po’ dei suoi gusti musicali. Gusti che possono essere sintetizzati in “canzoni pop italiani uscite tra il 1985 e il 1996”. La cosa mi ha colpito perché Nunzio ha una testa tanta, ma la musica per lui è solo quella.

Qualche settimana fa, questo mio amico ha fatto una bella cosa su Facebook. Dopo che all’esame di Stato era uscito un tema su Caproni, ha deciso di scrivere un post al giorno per una settimana per raccontare un poeta italiano del Novecento.

Tutti i suoi post li ha poi raccolti in un piccolo libricino che si scarica da qui.

Allora ho deciso di ricambiare il favore a Nunzio e di aiutarlo a conoscere 7 canzoni belle. Però io non ho la sua costanza e sono certo che non riuscirei a mantenere l’impegno quotidiano, perciò metto tutte e sette le canzoni qua, tutte insieme.

Per scegliere le canzoni sono partito dalla passione per la poesia di Nunzio. Ho selezionato canzoni con un testo bello, spero poetico. Continua a leggere

Auguri Bill!

Oggi Bill Watterson compie 60 anni. La prima volta che ho scritto un pezzo su un fumetto è stato nel 2012 per un giornale online che si chiama Il Vaglio. Lo ripubblico qua un po’ rivisto e corretto.

C’è una famosa casa d’asta americana che si chiama Heritage Auction, è specializzata in aste di opere d’arte e modernariato del novecento. Nel mondo del fumetto sono famosi soprattuto per la loro sezione sulle tavole originali. Le tavole originali, o “original comic art” come dicono loro che sono americani, sono i disegni originali di un fumetto, l’opera originale prodotta dal disegnatore. Di solito i disegni, una volta ricopiati per la stampa finale, vengono conservati dall’autore. Spesso succede che i disegnatori le vendano ad appassionati e collezionisti.

La settimana scorsa Heritage Auction ha annunciato che tra pochi giorni metterà all’asta un disegno di Bill Watterson che raffigura Calvin ed Hobbes mentre si riposano sotto un albero, il disegno è a china e colorato ad acquerello. Heritage Auctions stima che il disegno verrà venduto ad un prezzo minimo di 50.000 Dollari (circa 38.000 Euro) . Ho chiesto a mia moglie se vuole partecipare all’asta per farmene dono per il mio compleanno, ma non capisco perché abbia alzato gli occhi al cielo e mormorato qualcosa riguardo al fatto che dovrei smetterla con queste assurdità.

Ma perché un disegno di una tigre con un bambino può oggi valere quanto una buona macchina tedesca di grossa cilindrata?

Per due motivi: perché Bill Watterson è un genio e perché ha sempregestito le sue opere con rispetto ed orgoglio.

Watterson crea la striscia di Calvin & Hobbes nel 1985. Inizia a pubblicarla tramite l’Universal Press Syndicate e dopo solo un anno i giornali che la pubblicano ogni giorno in tutta America sono ben 250. In poco tempo arriva ad essere pubblicata su 2100 quotidiani; ogni giorno e in tutta l’America.  In Italia Calvin & Hobbes viene pubblicata sulle pagine Linus, il mensile di fumetti che ancora oggi potete trovare in edicola.

Le strisce di Calvin & Hobbes raccontano le avventure di un bambino di 6 anni e del su tigrotto di pezza Hobbes. Quando Calvin è da solo con la tigre di pezza questa prende vita nel mondo immaginario del bimbo. Hobbes si trasforma nel miglior amico di Calvin, nella sua spalla, anzi in qualcosa di più: Hobbes diventa l’amico invisibile che tutti noi abbiamo sognato di poter immaginare.

Calvin è una peste, è un bambino intelligentissimo, ma è praticamente indomabile. Il padre un giorno, distrutto dalla lunga giornata passata ad inseguire la piccola belva, commenta con la madre di Calvin: “io te l’avevo detto, era meglio prenderci un bassotto”.

Le strisce sono divertentissime, le pagine domenicali (quelle grandi e a colori) sono uno spettacolo per gli occhi, Watterson è un maestro nel disegno e nella composizione. I suoi personaggi sono vivissimi e si fatica davvero a non volergli bene. Bastano poche pagine e ci si affeziona a Calvin come se fosse un bambino vero, terribile ma divertentissimo.

Watterson per anni riceve offerte per creare merchandising ispirato ad i suoi personaggi. Tutti si aspettano da Bill lo stesso approccio che un altro grande come Charles Schultz aveva avuto per le sue creature, i Peanuts. Così come Schultz aveva autorizzato lo sfruttamento di Snoopy, di Linus e di tutta la cricca, ci si aspettava che Watterson facesse lo stesso per Calvin & Hobbes.

Se ci sono le tazze da latte di Snoopy, i cereali di Charlie Brown e le mutande di Linus allora ci dovranno essere anche le t-shirt con Hobbes che salta addosso a Calvin (una gag classica della strip). Ma Watterson non ci sta. Lui non lo fa per soldi (o almeno non solo), lui è un artista ed un poeta. Anzi come qualcuno ebbe a dire “Calvin & Hobbes è una finestra sulla psiche di un bambino come mai nessun trattato di pedagogia potrà mai sperare di essere”. Watterson non cede. I suoi personaggi non sono in vendita, la sua arte non si mercifica.

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Solo per due anni tra il 1988 e il 1990 decide di approvare e far stampare un calendario ufficiale di Calvin & Hobbes. Due anni soli.

La striscia è stata pubblicata per 10 anni, ma solo due volte Watterson ha ceduto i diritti e solo per dei calendari.

Ed è proprio una copertina di uno di quei calendari che tra poco verrà messa all’asta. Oltre a questo disegno, negli ultimi anni sono state messe in vendita poco meno di 10 disegni orginali di Watterson, per lo più dediche e schizzi fatti ad amici. Tutti gli altri disegni sono ancora in mano all’autore.

Bill Watterson ha smesso di disegnare Calvin & Hobbes nel 1995. Ha prodotto 3.160 strisce di Calvin & Hobbes tra il 1985 e il 1995. Si dice che da allora si sia ritirato a vita privata e passi il tempo a disegnare paesaggi ad acquerello e quadri di dinosauri.

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La terribile influenza del ’17, una storia di Natale

Quella che sto per raccontare è la mia storia di Natale preferita.

Però prima ho bisogno fare una premessa. E la premessa è che Dio non esiste e Gesù non era figlio di Dio. Lo so che questa è una storia di Natale, ma davvero non so come girarci attorno. Dio non esiste e la religione è tutta una finzione. Sono solo storie che ci raccontiamo.

Fatta questa premessa, da questo momento inizia la vera storia di Natale. Continua a leggere

Qual è il tuo film di Natale preferito?

Io adoro i film di Natale. Mi piace il Natale, mi piacciono le lucine e i regali, lo shopping compulsivo, il torrone, il panettone, il pandoro e perfino il presepe. Mi piacciono le tombolate e l’odore di frittura sui vestiti, le bucce di mandarino sulle cartelle della tombola e le case addobbate di rosso e verde.

Qualche giorno fa ho chiesto ai miei contatti su Facebook se avevano voglia di condividere con me il loro film di Natale preferito.

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Questa è la lista che ne è venuta fuori. Continua a leggere

Quanta è bella la lingua americana

Ieri mi sono ritrovato a spiegare ad un amico il significato di una frase che stava in una gif con Bruce Willis. Gli ho raccontato che alcuni termini gergali americani sono difficilmente traducibili in italiano. Mi sono tornate in mente alcune chiacchiere che facevo qualche anno fa con i miei colleghi americani quando andavo a trovarli a Sacramento, in California.

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La lingua americana è bella e agile come il suo popolo, è una lingua pragmatica e densa. Quando gli americani hanno bisogno di una parola se la inventano. Hanno poi il vantaggio di appoggiarsi ad una diffusa cultura popolare in continua evoluzione, ma accessibile a tutti. In America le storia nascono e si diffondono velocemente, la mitologia popolare cresce ogni giorno e la lingua può usare tutto questa ricchezza per creare parole o espressioni nuove. Vi faccio un po’ di esempi:

Redneck: letteralmente significa “collo rosso”, ma in realtà rappresenta una tipologia di persona, sono i bianchi del sud, che vivono negli stati del Sud, in zone periferiche e poco industrializzate. Il Redneck tipico è bianco, quando sta troppo tempo al sole si scotta e perciò ha il collo rosso.

Soccer mama: una mamma che passa gran parte del suo tempo in famiglia a prendersi cura dei figli. L’espressione fa riferimento all’abitudine dei bambini e delle bambine americane di giocare a calcio (soccer) nel fine settimana. Le “soccer mama” sono quelle mamme che accompagnano i figli alla partita di calcio e mentre questi giocano organizzano una merenda o un buffet sul bordo del campo. Nel 2004 mi trovavo in America quando ci fu il dibattito tra i due candidati alla vicepresidenza, Joe Biden e Sarah Palin. Ad un certo punto Palin disse che il suo partito si sarebbe preso cura della “hockey mama”. Il giorno dopo mi spiegarono che Sarah Palin era governatrice dell’Alaska e lì non si gioca a calcio, ma ad hockey.

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un redneck

 

Gunshot marriage: diciamo che si tratta di un “matrimonio riparatore”, ma con una sfumatura leggermente diversa. L’espressione, infatti, fa riferimento al fucile (il gunshot) che il padre della sposa tiene ben poggiato sulla schiena del futuro marito mentre questo si avvia verso l’altare.

Zampruedering: fare “zaprueder” significa prendere un video e analizzarlo in ogni singolo dettaglio, fotogramma per fotogramma. Il termine deriva da Abraham Zapruder, la persona che nel 1963 girò il video dell’attentato che portò alla morte di John F. Kennedy. Il video di Zapruder è stato negli anni analizzato in ogni suo dettaglio per studiare la dinamica dell’attentato a Kennedy.

Ogni espressione ha una sua piccola storia, e quasi sempre le storie sono legate al contemporaneo. Anche solo spiegare il significato di queste espressioni apre le porte di infiniti racconti, un linguaggio che è anche un racconto di un popolo. La lingua americana è un piccolo universo linguistico che non può annoiare mai. Come fai a non volergli bene?

 

Akira e Ghost in the Shell 2: che filmoni!

Ho passato sabato e domenica sera a guardarmi due film di animazione giapponese. Ho iniziato sabato con Akira e ho continuato domenica con Ghost in the Shell 2.

Akira è un film del 1988 di Katsuhiro Otomo. Quella di sabato sera sarà stata la quindicesima volta che l’ho rivisto. La prima volta fu una sera di estate quando, tornato da una vacanza studio, misi nel videoregistratore la videocassetta che avevo comprato in Inghilterra. Il film era in lingua originale sottotitolato in inglese. Ammetto che la prima volta capii bel poco della trama.

Da quella volta, ho visto e rivisto Akira e ogni volta capendone sempre un pezzettino di più. Per chi non lo sapesse Akira racconta la storia di due amici, Kaneda e Tetsuo. Kaneda è forte e carismatico mentre Tetsuo è un ragazzo più impacciato. Tetsuo viene sottoposto ad alcuni esperimenti e si trasforma in un essere potentissimo.

L’altro film che ho visto è il seguito di Ghost in the shell. Forse anche chi non è appassionato di cultura giapponese ha già sentito parlare di questo film grazie alla versione con Scarlett Johansson che è uscita quest’anno. Il ghost del titolo è l’anima degli esseri umani ma anche l’anima dei robot.

I due film sono uno completamente diverso dall’altro, non hanno niente in comune sia per stile grafico sia per tematiche. O forse no, forse entrambe le pellicole raccontano di cosa voglia dire essere persone, di cosa siano gli esseri umani? Non lo so. Akira continuo a cercare di capirlo, mentre Ghost in the Shell 2 non so bene che cosa sia.

Però ci sono due dettagli che mi hanno colpito nei due film.

Il primo dettaglio è quando Tetsuo sta per essere inghiottito dalla sfera di energia gigante, durante le ultime scene di Akira. La sfera lo trascenderà, lo trasformerà in un essere di pura energia. Per gran parte del film Tetsuo è stato un personaggio cattivo, un ragazzo compromesso dal potere, un potere che lo ha reso malvagio e vendicativo. Tetsuo ha ucciso centinaia di persone, è stato un mostro, ma in questi ultimi istanti di umanità, prima di trasformarsi in un essere superiore, Tetsuo ha paura e si gira verso il suo vecchio amico Kaneda e chiede aiuto, e lo fa piangendo come un bambino.

L’altro dettaglio che mi ha colpito è nella trama di Ghost in the Shell 2. Il film racconta di alcuni robot che perdono il controllo e uccidono alcuni esseri umani. I robot dopo aver commesso questi omicidi sì distruggono, si suicidano. Questi Robot si chiamano ginoidi e sono bambole di compagnia, strumenti sessuali per uomini facoltosi. Il dettaglio che mi ha colpito è quando, durante un dialogo, veniamo a scoprire che queste ginoidi hanno una caratteristica diversa da tutti gli altri robot, una differenza che le rende adatte ad essere strumenti sessuali, una caratteristica che le rende molto più simili agli esseri umani e perciò più attraenti. Questi robot hanno l’anima.

Sia Akira sia Ghost in the Shell 2 si trovano su Netflix. Se non li avete mai visti, anche se pensate di non essere interessati ai cartoni animati giapponesi, ma siete curiosi di vedere due bei film, profondi e per niente scontati, io ve li consiglio di cuore.

(quella qua sopra è la scena della parata di Ghost in the Shell 2, non è bellissima?)