(mettendo a posto la libreria, ho ritrovato dei vecchi quaderni su cui scrivevo sciocchezze tra i 16 e 20 anni)
L’amore è cecità
Non voglio vedere
Vuoi avvolgere la notte
attorno a me
L’amore è cecità Continua a leggere
qui raccolgo la roba che avevo scritto in passato
(mettendo a posto la libreria, ho ritrovato dei vecchi quaderni su cui scrivevo sciocchezze tra i 16 e 20 anni)
L’amore è cecità
Non voglio vedere
Vuoi avvolgere la notte
attorno a me
L’amore è cecità Continua a leggere
Questa storia inizia alla fine degli anni ’80 in America. A quei tempi la casa editrice regina del mercato dei supereroi era ancora la Marvel di Stan Lee. Suoi erano i personaggi più venduti: gli X-Men, l’Uomo Ragno, il Punitore, I Fantastici Quattro. Per la Marvel lavoravano anche i migliori disegnatori della nuova generazione, un gruppo di ragazzi poco più che ventenni, cresciuti nel mito dei disegnatori Marvel degli anni ’60 e ’70. Autori giovani che mescolavano lo stile classico del disegno americano con le nuove tendenze che arrivavano dal Giappone e dal mondo dell’animazione.
I loro disegni ebbero un impatto tale sui giovani lettori americani che in pochi anni diventarono delle vere e proprie “rock star del fumetto”. Il loro nome era sbandierato sulle copertine dei comics per attirare l’attenzione del pubblico. Non era più il personaggio che aiutava a vendere, era il disegnatore la vera stella da pubblicizzare.
Per capire la portata di questo fenomeno basti ricordare che nel 1991 ad uno di questi disegnatori venne affidato il primo numero di una nuova collana degli X-Men. Quel numero entrò nel Guinness dei Primati per essere stato il fumetto che ha venduto di più nella storia dei comics americani: 8.100.000 copie in un solo mese.
Com’è fatto un fumetto da 8.100.000 copie?
Gli editori erano raggianti, avevano trovato le galline dalle uova d’oro, i disegnatori che i ragazzi d’America idolatravano. Soldi a palate. Continua a leggere
(Conservo alcuni vecchi quaderni di quando andavo al Liceo. Su questi quaderni la sera scrivevo racconti e altre robe. Molto di quel materiale è molto più che imbarazzante.)
Loro dicono che sono pazzo.
Loro non sanno.
Dicono che sono isterico e pericoloso.
Non sanno.
Dico loro cosa so.
Non ascoltano, sono pazzo, dicono.
Vivono all’oscuro dell’universo. Vivono senza sapere. Vivono senza vivere.
Non sanno come imparare.
Imparare a vedere, a capire, a conoscere. Imparare, come ho fatto io. Come ho fatto io quando aprii gli occhi.
E vidi.
Vidi nell’ombra dell’universo l’esistenza. Osservai colui che gestiva, nostro padre e nostra madre. Lo fissai a lungo.
E vidi sul suo volto la mia faccia che appariva.
(Conservo alcuni vecchi quaderni di quando andavo al Liceo. Su questi quaderni la sera scrivevo racconti e altre robe. Gran parte di quel materiale è molto più che imbarazzante)
A volte il mio cervello cessa di funzionare.
I miei arti allora incominciano a muoversi autonomamente. Toccano, spostano, strofinano.
Non riesco a fermarli.
C’è qualcosa dentro di me che mi sussurra: “Cos’altro puoi fare?”
A volte ho il coraggio di rispondere: “Tutto, fuorché questo!”
Altre volte commento solamente con un laconico “e già”.
Quando rispondo così, la noia ha vinto.
Tra il 2011 e il 2012 si tennero a Roma, presso l’Auditorium Parco della Musica, alcune Lezioni di Fumetto. Ogni lezione era dedicata ad un artista che veniva intervistato. A quel tempo venivano pubblicati quasi tutti gli audio degli incontri che si tenevano nell’auditorium. Ricordo ancora le bellissime lezioni di musica classica o gli audio dei festival di filosofia. Oggi quei podcast non ci sono più sul sito dell’Auditorium.
Qua sotto c’è l’articolo che scrissi per il Vaglio quando ascoltai la lezione tenuta da Gipi.
…
Questa settimana sono finalmente riuscito a trovare le registrazioni delle Lezioni di Fumetto che si stanno tenendo a Roma presso l’Auditorium della Musica. Le Lezioni sono iniziate l’anno scorso, ogni mese viene invitato un autore e per un oretta gli viene chiesto di raccontare la sua esperienza nell’industria del fumetto. Da qualche settimana le registrazioni delle lezioni possono essere scaricate qui. [Il link non funziona più]
Tra le lezioni che ho ascoltato c’è quelle tenuta da Gianni Pacinotti in arte Gipi. Ed è stata un esperienza toccante, emotivamente fortissima. Anche se non siete degli appassionati di fumetto, fatevi un favore e ascoltate Gipi che si racconta.
Gianni Pacinotti è nato a Pisa nel 1963. Nella sua vita è stato art director di un importante studio pubblicitario; è stato pazzo per 5 mesi; ha tentato il suicidio per amore tagliandosi le vene di un polso; è stato un autore satirico per Cuore; è stato un disegnatore di fumetti; è perfino stato in galera per possesso e coltivazione di Marijuana. Gipi oggi ha smesso di essere un fumettista e ha deciso di essere solo un regista, il suo primo film si intitola L’Ultimo Terrestre ed è stato presentato in concorso all’ultima mostra di Venezia.
C’era questa ragazzina, non avrà avuto nemmeno sedici anni, ha iniziato a correre lungo il marciapiede. Io ero in macchina fermo al semaforo e lei era di fronte a me che correva. Era uno scatto da centometrista, uno di quegli sforzi atletici in cui uno impegna tutte le proprie energie per raggiungere uno scopo ben preciso.
Fissava di fronte a sé il suo obiettivo e correva a lunghe falcate.
“Forse non vuole perdere l’autobus” ho pensato.
Sfruttando il rosso del semaforo in un paio di lunghi passi la ragazzina ha attraversato la strada. Ginocchi alti e testa china ha continuato a correre.
“Speriamo riesca a prendere l’autobus, poverina”
Dopodiché ha fatto due passi un po’ più corti, ha rallentato ed è saltata al collo di un ragazzino magro magro. Loro e i loro due zainetti si sono abbracciati per un’infinità.
Quando è scattato il verde io sono andato via e loro stavano ancora lì ad abbracciarsi.
Ogni anno a San Diego, in California, si celebra il principale festival del fumetto d’America al termine del quale vengono assegnati quelli che possono essere considerati gli Oscar internazionali del fumetto, gli Eisner Award.
Nel 2012 c’è stata un’opera che ha vinto ben tre premi, un fumetto disegnato e prodotto quell’anno ma basato su una sceneggiatura scritta negli anni ’60 per essere trasformata in film. Un’opera che allora non uscì perché colui che doveva occuparsi di farne un film venne distratto da pupazzi e marionette.
Oggi vi racconto la storia di questo fumetto, di come Jim Henson fu candidato ai premi Oscar per un cortometraggio senza senso, di come divenne famoso grazie ad una rana e vinse tre Eisner Award 12 anni dopo la sua morte.
Jim Henson, nato nello stato del Mississipi nel 1936, era un genio dai mille talenti, un appassionato di arti grafiche che aveva iniziato a lavorare presso una televisione locale già durante gli anni delle scuole superiori. In questo periodo venne a contatto col mondo dell’animazione e con i burattini usati durante i video pubblicitari. Dopo il diploma si iscrisse ad un corso di Home Economics, un corso di laurea nato in America nell’Ottocento per istruire le giovani figlie della ricca borghesia ed introdurle alla complessa arte della gestione domestica, un percorso di studi non proprio da artista, ma che ad Henson serve per affinare le sue capacità manuali e gli permetterà di creare pupazzi e burattini che faranno la storia.
Passa i successivi venti anni a lavorare per lo più per la pubblicità. Le sue animazioni diventano famose e ricercate. Dai canali locali passa ai grandi network americani, diventa un volto noto invitato a partecipare a talk show e a speciali televisivi. La PBS (il network pubblico americano) lo chiama a supervisionare un progetto per la creazione di uno show educativo per bambini; nasce così Sesame Street, un successo di pubblico e critica che resiste ancora oggi con personaggi celeberrimi tra i bambini in età prescolare come il rosso pupazzo Elmo o il giallo Big Bird (proprio nel 2012 Big Bird venne citato da Romney nel primo dibattito presidenziale contro Obama).
“I like PBS. I love Big Bird. I actually like you, too. But I’m not gonna keep on spending money on things to borrow money from China to pay for it.”
Tutto ha inizio nel 1987 quando negli uffici della DC Comics, la casa editrice americana di Batman e Superman, arriva una proposta per una nuova serie di supereroi. La proposta è opera dello scrittore inglese Neil Gaiman che aveva già lavorato per la DC Comics su una minisere intitola Black Orchid.
Gaiman, oltre ad essere un ottimo scrittore, aveva dalla sua anche il fatto di essere inglese. Infatti in quel periodo il mercato dei fumetti americani stava subendo la cosiddetta “british invasion”. Un fenomeno molto simile a quello avvenuto nel rock e nel beat degli anni ’60, quando i Beatles, i Rolling Stones e gli Who erano sbarcati in USA per insegnare agli americani come fare musica moderna e con velleità artistiche. Più o meno allo stesso modo negli ani ’80 Grant Morrison, Jamie Delano, Neil Gaiman e altri avrebbero insegnato agli americani come si potevano scrivere delle storie di supereroi adatte a un pubblico adulto, consapevole ed esigente.
Gaiman propose alla DC Comics l’idea per una nuova serie mensile basata su un vecchio personaggio della casa editrice. Un certo Sandman, un eroe minore creato negli anni Quaranta sul modello di Batman. Sandman era un vigilante mascherato che sconfiggeva i suoi nemici addormentandoli con la sua polvere speciale.
In quel periodo la DC stava rilanciando tutte le sue serie e aveva deciso di azzerare le storie dei precedenti 60 anni per ripartire da capo (oggi lo si chiamarebbe un reboot). Gaiman aveva quindi carta bianca, poteva prendere il personaggio e ricrearlo da zero. Il suo Sandman non avrebbe avuto più nulla del vecchio personaggio, solo il nome era rimasto immutato, ma niente più vigilante mascherato, niente più crimine da combattere, solo Sandman, il signore della sabbia, il signore del sogno, Morfeo.
Neil Gaiman con la moglie, la cantante Amanda Palmer
La serie inizia in maniera classica, originale e ben scritta, ma abbastanza nella norma. In questo primo ciclo di storie Gaiman presenta il suo personaggio, un essere magico rappresentato come un uomo alto e longilineo, dai capelli neri corvini, con due occhi come la notte. Sandman è il re del mondo dei sogni, protegge e governa il Sogno, può viaggiare attraverso le menti degli essere umani addormentati e ha una borsa piena di sabbia magica. Gaiman inizialmente imposta la serie come un misto tra un horror e una serie super eroistica classica: Sandman viene catturato e ne scaturiscono problemi per il Sogno, Sandman riesce a scappare, si vendica e punisce i cattivi.
Il successo di queste prime storie è notevole. La serie piace perché è ricca di trovate originali ed è scritta benissimo (lo so, questa cosa che è scritta benissimo l’ho già detta, ma non ci posso fare niente, è una serie scritta divinamente).
Dopo la fine del primo ciclo arriva il cambio di passo, lo scatto in avanti, il Sergent Pepper di Neil Gaiman. In una storia fatta solo di dialoghi e con praticamente nessuna azione (“The sound of her wings” traducibile in “Il rumore delle sue ali”) facciamo la conoscenza della sorella maggiore di Sandman, Death, la Morte.
Death viene rappresentata come una ragazza di non più di 16 anni, bella e sorridente, vestita con dei jeans neri e una t-shirt nera anch’essa. Death è simpatica, ci si scorda quasi che sia la morte.
Questo è il primo tassello della mitologia che Gaiman sta costruendo attorno al suo eroe.
Nei numeri successivi si verrà a sapere che Sandman è un Eterno, della famiglia degli Eterni. Gli Eterni sono sette fratelli, ci sono sempre stati e sempre ci saranno. La sorella maggiore è La Morte, ci sono poi Sogno (il nostro Sandman), i gemelli Disperazione e Desiderio, la piccola Delirio, che un tempo era Delizia, Destino e infine il fratello in esilio, Distruzione.
Nel mondo che crea Gaiman le muse esistono davvero e si possono imprigionare, in questo mondo Caino e Abele sono i personaggi della prima storia mai raccontata e sono i vicini di casa di Lilith, la donna che venne prima di Eva. Sandman è amico di Shakespeare ed è stato lui a commissionargli ‘Sogno di una notte di mezza estate’. Nel suo regno Sandman conserva un’ampolla dentro cui è nascosta la Baghdad delle ‘Mille e una notte’. Sulla Terra, nelle storie di Sandman, gli dei esistono davvero, ma fanno vite normali perché nessuno crede più in loro. Il fumetto di Sandman è un’esplosione di idee, di immagini, di riferimenti letterari, artistici, cinematografici. Ci sono De Sade, l’imperatore Augusto, le fate, i demoni, le Parche, ci sono tutte le Storie.
Perché Sandman è fondamentalmente un’opera sul racconto. Sandman, il re del Sogno, viaggia attraverso l’immaginazione degli uomini per raccontarci e spiegarci perché l’Uomo racconta e ha sempre raccontato storie. Dalle caverne illuminate dai primi fuochi dell’umanità, fino ad arrivare ai film proiettati in 3D su un maxi schermo iMAX l’uomo ha sempre raccontato. Neil Gaiman col suo Sandman ci racconta questo.
In un episodio minore di Sandman (come se potessero esistere davvero episodi minori in questa saga) un nonno sta raccontando la storia della buona notte al nipotino. L’eroe della storia a un certo punto riceve da una strega un paiolo, ma il nonno spiega che nonostante fosse di una strega era un semplice paiolo, una pentola normale senza alcun potere. Dopo qualche pagina, l’eroe salta dentro al paiolo e questo inizia a volare. “Ehi, ma avevi detto che non era magico, com’è possibile?”, dice a quel punto il nipotino al nonno. E il nonno risponde: “Non chiederlo a me, io sto solo raccontando, chiedilo alla storia”.
Sandman è questo, una storia sulle Storie.
(questo pezzo è stato inizialmente pubblicato nel 2012 sul Vaglio.it)
Da qualche giorno sta facendo discutere in rete un intervento di Andrea Queirolo dal titolo “Romanzo e autobiografia, ovvero il graphic novel” pubblicato sul blog ‘Conversazione sul Fumetto’ .
La tesi che Queirolo presenta è che la produzione di fumetti d’autore in Italia si è negli anni focalizzata per lo più su storie autobiografiche, tanto da arrivare a una strana sovrapposizione tra il concetto di graphic novel e autobiografia; è come se, per poter chiamare un’opera a fumetto “graphic novel”, questa debba sempre essere in qualche modo legata alla biografia del suo autore.
Nel blog vengono citati diversi esempi di pessime (a parere del blogger) autobiografie spacciate negli anni come capolavori del genere. Viene citato anche un noto autore spagnolo e molto attivo in Italia, Miguel Angel Martin che in un’intervista dichiarava al riguardo: “Molti graphic novel sono ‘autobiografici’. Alcuni dei miei autori preferiti sono anche loro autobiografici come, ad esempio, William Burroughs, Bukowski, Hunter Thompson, Henry Miller o Céline… Non posso sopportare i fumetti dei piccoli borghesi con problemi e vite di merda che sono così piagnucoloni, con la posa triste e ridicola o la posa di “tutto il mondo è tonto, tranne me che sono così speciale”, puagh! Per me sono solo sottoprodotti della cultura del narcisismo, caratterizzata dalla popolarità dell’autobiografismo, nostalgia del passato, paura del futuro, autostima bassa, sentimentalismo pacchiano. Tempi molto mediocri”.
Tutto questo discutere di autobiografia mi ha spinto a prendere in mano un’opera che avevo acquistato qualche mese fa, ma che era rimasta sempre in fondo alla mia lista delle cose da leggere: The Quitman di Harvey Pekar
Partiamo dallo spiegare perché ho comprato un fumetto che poi non ho letto per mesi. L’ho comprato sulla fiducia, quando trovai sul web un video di Alan Moore che partecipava una raccolta fondi per costruire un monumento a Pekar. Dovete sapere che Alan Moore è il mio mito personale. Ho tanti amici che sono cresciuti nel mito di Maradona, i più tecnologici hanno creato il culto di Steve Jobs, io invece sono un fervente accolito della misteriosa setta del Mago (autodichiaratosi tale) Alan Moore. Per chi non fosse membro della setta dirò soltanto che Moore è l’autore di V for Vendetta e Watchmen, fumetti celeberrimi da cui sono anche stati tratti due brutti film.
Moore in questo video spiegava che Pekar era stato un suo ispiratore e che, a suo avviso, era il capostipite del fumetto d’autore americano. Tutti dovevamo qualcosa ad Harvey Pekar ed era per questo motivo che l’autore di Watchmen stava lavorando con la vedova Pekar per raccogliere i fondi necessari alla costruzione di un memoriale a lui intitolato.
Dopo aver visto il video, ho subito donato la mia parte come ordinato da Moore e poi sono andato su wikipedia a raccogliere un po’ di informazioni su questo autore tanto importante, ma che, prima di allora, non avevo mai sentito nominare. Continua a leggere
(Conservo alcuni vecchi quaderni di quando andavo al Liceo. Su questi quaderni la sera scrivevo racconti e altre robe. Molto di quel materiale è molto più che imbarazzante, altre cose invece sono carine)
Cos’è l’uomo per poter decidere se un essere vivente è “adatto o non adatto a morire”?
Solo Dio, o come si voglia chiamare l’entità superiore che ci ha creato, può distruggere e creare, uccidere e lasciar vivere.
Qualsiasi cosa possa essere annoverato tra gli esseri viventi e semiviventi ha il diritto di vivere e di combattere per vivere, purché non a discapito degli altri essere viventi.
Questi sono i principi su cui ho fondato la mia esistenza.
Questi sono i principi per cui mi hanno rinchiuso qua.
(Graffito inciso sul muro di una cella di un ospedale psichiatrico NdR)
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