Roba bella da leggere, ascoltare e guardare (#5) – Speciale Newsletter

Podcast e newsletter sono rinati. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio rinascimento di questi due strumenti di distribuzione.

La tecnologia dei podcast risale ad un mondo tecnologico che non conosceva ancora gli smartphone. Basti pensare che il “pod” di podcast deriva dall’iPod di Apple, un prodotto che ormai conosciamo solo noi vecchi #splendidiquarantenni.

La newsletter sfrutta la posta elettronica, una tecnologia che risale al secolo scorso, roba da archeologi.

Eppure, oggi podcast e newsletter sono tra i sistemi di distribuzione più allettanti per il mercato pubblicitario. Basti pensare a quanto sia potente una pubblicità nel ben mezzo di un podcast che vi viene inviata direttamente alle cuffiette nel vostro orecchio. Oppure pensate alle mail, uno dei pochi posti “privati” che ci restano in rete. La vostra casella di posta è il sistema di comunicazione “ufficiale” che usate per tutto ciò che conta, dalle comunicazioni col commercialista all’invio di curriculum. Inviare un messaggio pubblicitario nelle mail è ancora uno dei modi migliore per essere sicuri di essere letti.

Per questi e altri motivi oggi assistiamo alla nascita di tanti contenuti di qualità sia su podcast sia via newsletter. Sui podcast ho spesso scritto, oggi invece volevo consigliarvi un po’ di newsletter che secondo me vale la pena seguire e supportare.

(scrivetemi se avete altre newsletter da consigliarmi) Continua a leggere

3 argomentazioni che mi fanno incazzare

Sto cercando di migliorare la mia presenza online e perciò ho iniziato una dieta disintossicante. Ho staccato temporaneamente Facebook e Twitter, ma ho deciso di tenere aperte le applicazioni di messaggistica come WhatsApp, Messenger e Telegram.

E proprio ieri su Messenger sono incappato in una discussione (NdR. non sono “incappato”, me la sono andata a cercare) in cui uno degli amici in chat ha tirato fuori una delle argomentazioni che più mi fanno incazzare.

Ho pensato perciò di ispirarmi ad un post che fece un po’ di tempo fa Luca Sofri e fare una lista delle 3 argomentazioni che più mi fanno incazzare. La prossima volta che incapperò (NdR. che mi andrò a infilare) in una discussione online in cui salterà fuori una di queste argomentazioni, non farò altro che copiare e incollare il link a questo post e indicare il numero della argomentazione. Continua a leggere

Roba bella da leggere, ascoltare e guardare (#1)

Lista settimanale di roba bella che ho letto, podcast e video interessanti.

The Best Children’s Books of 2016

Una bella lista di libri in inglese per bambini. C’è roba davvero molto interessante, dal libro sulla morte ad una versione stilolissima di Pinocchio.

“To lament that we shall not be alive a hundred years hence, is the same folly as to be sorry we were not alive a hundred years ago.”

clothlullaby25.jpg

Meme Economy

I meme hanno influenzato la campagna elettorale americana. I meme sono dovunque sui social media. I meme hanno anche un loro ciclo economico. (Io li odio i meme). Continua a leggere

7 cose che ho scoperto dopo 10 giorni senza Facebook e Twitter

Ciao, mi chiamo Antonio Furno e sono 10 giorni che non apro Facebook e Twitter.

giphy

Sono ad un terzo del percorso e mi sembrava interessante raccontarvi alcune delle cose che ho scoperto.

1. La batteria del mio telefono dura più di 24 ore. Sono un felice possessore di un OnePlus One da oltre due anni. Prima di questa pausa dovevo ricaricare il telefono almeno una volta ogni 6 ore. Avevo punti di ricarica sparsi in diversi punti dell’ufficio e della casa per essere sicuro di avere sempre il telefono carico. Adesso posso resistere più di 24 senza alcun problema. Continua a leggere

Mi prendo una pausa dai “social”

Domenica scorsa, mentre preparavo il caffè, mia moglie mi ha guardato e mi ha detto:

“Posso dirti un’idea che mi sono fatta?”

Io le ho risposto di sì e lei mi fa:

“Secondo me Facebook è morto”

Io ho fermato a mezz’aria il cucchiaino pieno di polvere di caffè e le ho detto che probabilmente aveva ragione. Lei mi ha sorriso e abbiamo continuato a preparare la colazione.

Continua a leggere

In provincia non succede mai niente

“Oggi il macellaio mi ha detto che il mio lavoro è il futuro. Stava incartando la carne e mi ha chiesto se ero geometra. Io gli ho risposto che ero un ingegnere informatico e lui mi ha guardato strano. Gli ho dovuto spiegare che lavoravo con i computer e lui mi ha detto che quello era il lavoro del futuro”.

L’ingegnere Cavuoto interruppe il suo racconto con una pausa melodrammatica. Si attendeva un qualche commento dalla moglie. Lei rimase in silenzio, pareva che il racconto non le interessasse.

“Ma ti rendi conto? Nel 2014 c’è ancora gente che è convinta che i computer siano il futuro. Senza sapere che tra poco saranno il passato. Viviamo proprio fuori dal mondo”.

Raccolse l’ultima forchettata dal piatto di pasta che aveva davanti, mentre sua moglie si alzava da tavola.

“Non essere pesante, non capisco cosa ti abbia fatto di male”, lo ammonì, togliendogli le stoviglie senza che lui avesse ancora ingoiato il boccone.

Si alzò anche lui. Doveva andare a prendere servizio in azienda. Turno notturno. Lavorava per le Poste Italiane. Senior System Engineer. Sede di Benevento. Località Pezzapiana.

Lavorava in un grosso capannone giallo e blu. All’interno erano stipati 750 container bianchi e da ognuno di essi spuntavano dei grossi tubi larghi un metro, dentro i tubi viaggiavano i cavi dell’alimentazione insieme a decine di connessione ottiche che collegavano la stanza al resto della rete. In ogni container c’erano 30 armadi e in ogni armadio c’erano 32 server. In ogni server erano installati 4 processori. Su ogni processore giravano 80 macchine virtuali. Ogni macchina virtuale era assegnata ad uno dei clienti che avevano fatto richiesta del servizio. Ogni cliente poteva accedere in qualsiasi momento alla sua macchina virtuale ed utilizzarla come un computer reale. Semplice, veloce, efficiente. I ragazzi del marketing lo chiamavano “cloud computing”, per fare scena.

L’ingegner Cavuoto aveva sentito dire che parte delle macchine virtuali erano state vendute in blocco a service provider stranieri. Si diceva che tra i principali clienti serviti dall’impianto di Benevento c’erano la Libian Telecom e un gruppo di aziende russe.

I container avevano un sistema di condizionamento dell’aria, ma per risparmiare sui costi della bolletta elettrica il capannone del data-center non era raffreddato. I container erano sigillati ermeticamente e scaricavano all’esterno tutto il calore prodotto dai server, fuori dall’azienda era inverno, ma dentro il capannone c’erano almeno 35 gradi. Alcuni giorni il caldo e l’umido erano insopportabili, c’erano colleghi che non resistevano un turno intero, alcuni si erano dovuti licenziare a causa delle condizioni di lavoro.

L’ingegnere lasciò cappotto, maglione e pantalone nell’armadietto del suo ufficio. Rimasto in boxer e maglietta intima entrò nel capannone e andò a cercare il collega che doveva sostituire. Lo trovò che stava chiudendo la porta di una delle stanze del secondo piano, si salutarono e a Cavuoto venne passato il foglio delle riparazioni pianificate per la nottata. Continua a leggere

Page and Google Glass

New Yorker, February 21, 2050

Nel 2015 Google iniziò a commercializzare la prima versione dei Google Glass. Questi occhiali, dalla tecnologia ancora primitiva, furono il primo tentativo da parte di una grande multinazionale di creare un sistema integrato uomo/macchina. I Google Glass segnarono una vera e propria rivoluzione nel modo in cui le persone si relazionavano con un computer. Nel 2017 venne il turno di Apple di presentare al mondo la sua personale interpretazione del wearable computing. L’azienda di Cupertino  introdusse l’iWatch, il primo orologio in grado di interfacciarsi con un essere umano tramite feedback epidermici.

In pochi anni tablet e PC sparirono per essere sostituiti dall’architettura Cloud/Human che ancora oggi utilizziamo.

Nello stesso periodo in cui Apple incominciava a vendere l’iWatch, in Finlandia, nella città di Tampere veniva fondata una piccola startup che da lì a pochi anni sarebbe diventata celebre.

La Mnemosine, dal nome della dea greca personificazione della memoria degli uomini, fu fondata da due giovani ricercatori di origine europea Ippu Milly, un ingegnere Finlandese esperto in biotecnologie, e Gunther Braun, un chimico originario di Monaco di Baviera

Nel fondare la loro azienda i due brillanti scienziati si erano dati l’obiettivo di applicare alcune nuove tecnologie di interazione uomo macchina alla cura dei malati di Alzheimer

Gunther e Ippu avevano studiato assieme al MIT di Boston, si erano conosciuti quando entrambi entrarono a far parte dell’equipe del professore Martin Doller, l’inventore dei nanotubi molecolari.  Fu nell’Aprile del 2017 che Ippu propose a Gunther di fondare assieme una società per poter mettere in pratica le loro scoperte

Fu sempre Ippu ad avere l’idea di creare la società in Finlandia in modo da poter accedere a manodopera altamente qualificata e a basso costo. La crisi europea che durava da oltre vent’anni aveva costretto le società del vecchio continente a licenziare decine di migliaia di ingegneri altamente qualificati, la Finlandia era piena di talenti che non vedevano l’ora di entrare a far parte della Mnemosine e, per la gioia dei due fondatori, con salari da terzo mondo.

Grazie alla rete di conoscenze che Gunther ed Ippu si erano costruiti ai tempi del MIT, i due riuscirono ad ottenere i primi finanziamenti. Il primo prodotto su cui iniziarono a lavorare fu chiamato MemRe (Memory Repair) ed era un elettrostimolatore che avrebbe dovuto risvegliare le sinapsi distrutte dalle malattia neurodegenerative.  Il gruppo di lavoro della Mnemosine impiegó cinque anni per cercare di far funzionare il prodotto, ma senza alcun successo significativo. Nel frattempo però la società era riuscita a sviluppare un notevole portafoglio di brevetti sulle nano sonde che permettevano di interagire con la corteccia cerebrale.

Durante quegli anni di ricerca i due amici avevano deciso di dividersi i ruoli in azienda. Gunther era quello che si dedicava a promuovere i prodotti della società e a curare le relazioni con i finanziatori, Ippu invece era a capo del team di ricerca.



humor1

Incontro per la prima volta Ippu mentre è seduto sul retro di un palco.

È un uomo sulla sessantina, capelli bianchi e barba lunga, indossa degli spessi occhiali con montatura scura, ai piedi ha delle scarpe da ginnastica, camicia e maglione scuro. Ha l’aria di essere un uomo frugale, dai gusti semplici, ma con un suo personale senso estetico. Quando ci incontriamo è seduto su una sedia di legno, ha le mani in grembo.

Ippu è lì, dietro le quinte di un palco, seduto compostamente come solo un ben educato ingegnere europeo può fare, perché attende che il presentatore della serata lo introduca. Ci sono più di 300 persone che siedono nell’auditorium dove io e Ippu ci siamo incontrati e tutti attendono lui.

Siamo in Texas, ad Austin, e i ragazzi che pazientemente aspettano l’inizio della conferenza vogliono ascoltare il racconto di Ippu, vogliono sentire dalla viva voce del vecchio maestro la storia di come una piccola società finlandese in solo dieci anni sia diventata la più grande compagnia del mondo.

Saluto Ippu e mi presento. Gli spiego che sono uno scrittore e che sto preparando un pezzo sulla storia della Mnemosine.

Mi siedo affianco a lui e inizio a fargli qualche domanda. Gli chiedo se sia nervoso, ma lui mi spiega che ormai quella è la sua centesima conferenza, ha passato gli ultimi due anni a girare per le università del paese, di solito viene invitato da piccole associazioni studentesche di appassionati di tecnologia neurale.

Mi racconta che in tutti questi anni ha raffinato il discorso che fa durante questi incontri, lo sa a memoria e non ha più paura di perdere il filo o di annoiare il pubblico. Mentre siamo lì che chiacchieriamo sentiamo un fragoroso applauso che parte dal pubblico. Dice “tocca a me”, si alza e sale sul palco.

Ippu è un ottimo narratore e il suo accento finlandese è quasi impercettibile. Nella sua conferenza ripercorre i primi anni di studi al MIT, gli anni di ricerca col professor Doller e l’incontro con Gunther Braun. Quando il racconto arriva al periodo della Mnemosine la voce di Ippu si fa molto più appassionata, i ricordi di quegli anni sono vividi e ricchi di dettagli, i ragazzi in sala ascoltano in silenzio. Ippu si prende una pausa prima di raccontare la notte in cui lui e Gunther ebbero l’idea che avrebbe rivoluzionato il mondo.

humor4

Era il Natale del 2020 nessun test sui malati di Alzheimer aveva ancora dato esito positivo. Gunther era andato a casa di Ippu per fare il punto della situazione. I finanziatori avevano deciso di non rinnovare il contratto, non credevano che i due sarebbero riusciti a far funzionare il prodotto. Gunther avrebbe voluto chiudere la società, ma Ippu si opponeva.

Gunther aveva ricevuto un’offerta di lavoro per tornare in Germania e avrebbe voluto lasciare l’amico e chiudere i conti della società. Ippu sapeva che se avessero chiuso la società, data la situazione economica della Finlandia, lui e la sua famiglia si sarebbero dovuti trasferire, ma lui era troppo legato alla sua terra e alle sue tradizioni e lasciare Tampere sarebbe stato troppo doloroso. Ricordava ancora con orrore gli anni passati lontano da casa per poter studiare al MIT. I due passarono ore a discutere, erano chiusi nell’ufficio di Ippu, al di là della porta chiusa le famiglie dei due amici preparavano il cenone di Natale.  Ippu era disperato, voleva a tutti i costi convincere l’amico a non partire. Fu allora che disse all’amico:

“Il problema che abbiamo è che non riusciamo a ristabilire la connessioni neurali. Le nostre sonde sono troppo deboli per poter ricreare la comunicazione tra le sinapsi, non riusciamo a far arrivare abbastanza energia alle sonde senza mandare in blocco il sistema. Non possiamo mandare segnali, però potremmo usare la tecnologia delle sonde per provare a ricevere segnali e ad interfacciarci col cervello dei nostri pazienti”

“E a che potrebbe servire una cosa del genere?” chiese Gunther.

Allora Ippu, indicando i Google Glass che l’amico indossava, disse:

“Pensa ad un sistemai in grado di  interfacciarsi direttamente con un utente attraverso le sinapsi, immagina un sistema digitale che possa leggere direttamente i tuoi pensieri, niente occhiali, niente orologio, niente strisce di sonde elettroniche sul braccio. Un’interfaccia uomo/macchina che si installa direttamente nel tuo cervello”.

Gli amici passarono tutta la notte e tutte le restanti vacanze di Natale a discutere delle idee di Ippu. Durante la conferenza ad Austin, Ippu spiega perché prima di allora non aveva proposto il progetto alla amico

“Pensavo fosse una tecnologia pericolosa. A quel tempo ero un’attivista della Free Software Foundation, mi battevo per la tutela della privacy in rete e contro le leggi che imponevano alle società private di condividere dati personali con i governi. Nella tecnologia neurale intravedevo possibili rischi di abusi da parte di privati o di governi. Non avevo ancora immaginato appieno i benefici che la nostra tecnologia avrebbe apportato al genere umano. I puerili dilemmi morali che all’epoca mi tormentavano furono spazzati via in poco tempo”.

A Gennaio, subito dopo le feste natalizie, Gunther propose il progetto ad un fondo di finanziamento di Dubai.

“Ci diedero 700 milioni di dollari e ci dissero che avevamo cinque anni per completare il progetto”.

Ippu non lo dice nella conferenza, ma quello fu il più grosso finanziamento mai erogato da un fondo privato.

Nei cinque anni successivi i due amici affrontarono una serie di problemi tecnici notevoli. Dovettero investire gran parte del loro budget nella creazione di un sistema di calcolatori paralleli in grado di poter analizzare la quantità immensa di dati che raccoglievano dalle sinapsi. Una volta risolto questo problema si occuparono di miniaturizzare i circuiti che gestivano le sonde, in modo da poter inserire gli apparati direttamente nel cranio dei loro utenti.

Fu così che dopo esattamente 5 anni, proprio quando anche gli emiri erano sul punto di tagliare i fondi alla Mnemosine, Gunther e Ippu organizzarono una conferenza stampa per presentare il prodotto che avrebbe riplasmato il genere umano: interbrain.

Nel giro di due anni il prodotto fu installato a più di 5 milioni di utenti. Dopo tre anni, introdussero la seconda generazione del prodotto, più piccolo e meno costoso. Era stato disegnato per poter essere impiantato anche su utenti con meno di 10 anni e finalmente supportava tutte le lingue parlate sul pianeta.

Con interbrain le persone potevano scaricare sui server della Mnemosine ogni loro singolo pensiero. Nulla andava più perso, tutto gli stream venivano salvati e potevano essere condivisi con amici e conoscenti. Gli studenti non dovevano più prendere appunti, i viaggiatori non erano più costretti a fare foto, i registi potevano creare un film solo pensandolo, gli scrittori smisero di scrivere. Fu la rivoluzione della comunicazione.

humor3

La conferenza di Ippu termina proprio col lancio di interbrain 2.

Quando torna dietro il palco è visibilmente stanco, ma non si sottrae alle mie domande. Gli chiedo se ha dei rimpianti, lui ci pensa un po’, con gli occhi si fissa le punte delle scarpe e quando rialza la testa mi risponde:

“A volte vedo cosa abbiamo fatto, come siamo riusciti a cambiare il mondo, le meraviglie e la gioia che oggi viviamo e penso che forse ci avrei dovuto pensare prima. A volte le migliori soluzioni si nascondono dietro i nostri principi. Ecco, rimpiango di essere stato così lento a capire”.

Mi stringe la mano, sorride e mi saluta. E mentre questo piccolo vecchio ingegnere si allontana camminando lentamente verso l’uscita, penso alle sue parole “le meraviglie che oggi viviamo”. Sono colpito dalle semplici parole di Ippu Milly, l’uomo più ricco del mondo, perché ha ragione da vendere. Oggi viviamo un mondo di gioia e meraviglia, ed è tutto merito della sua Mnemosine, l’azienda più grande che sia mai esistita.

Oggi nei database dell’azienda di Ippu e Gunther sono contenuti i pensieri e le idee di circa 6 miliardi di persone. Grazie alla raccolta di questi dati e agli algoritmi che li analizzano, oggi viviamo in mondo nettamente migliore di quello in cui i nostri nonni, coi loro Glass e iWatch, erano abituati a vivere.

Il tasso di criminalità mondiale è sceso a ZERO. Oggi la polizia è in grado di fermare un crimine nell’attimo stesso in cui viene compiuto.  Le guerre non esistono più grazie ai tecnici della Mnemosine che analizzano i pensieri dei popoli in lotta e creano trattati di pace perfetti che ottimizzano la felicità di tutte le persone coinvolte. La politica rappresentativa non esiste più. Gli ingegneri della Mnemosine possono dirci in tempo reale che decisioni prenderebbe tutto il corpo elettorale senza nemmeno dover porre le domande. Non bisogna più votare perché chi ci governa sa in ogni istante cosa vuole il popolo.

Oggi viviamo in mondo di gioia e meraviglia, senza guerra, crimini e corruzione. Tutto questo nacque trent’anni fa, in una piccola stanza di una piccola città di una minuscola nazione.

Era Natale. Mi piace pensare che là fuori ci fosse un coro di giovani finlandesi che intonavano canti natalizi. Mi immagino una finestra un po’ socchiusa nell’ufficio di Ippu, lasciata aperta, e che insieme all’aria fresca fa entrare anche la voce di quel coro. Riesco quasi a vedermeli Ippu e Gunther che discutono della loro idea. I due buttano giù appunti, scrivono, discutono, quando a un certo punto le voci del coro si fanno più forti e la stanza si riempie di questo canto:

“Venite adoriamo il nostro Salvatore”

Grazie interbrain, noi ti adoriamo.