Nell’Agosto del 2015 durante un comizio in New Hampshire l’imprenditore e politico Donald Trump espresse in maniera colorita la sua posizione sul caso del Sergente Bowe Bergdahl.
Disse che il sergente Bergdahl era un disertore e che erano stati uccisi sei soldati durante le ricerche fatte per ritrovare Bergdahl. Per Trump la giusta punizione per Bowe Bergdahl sarebbe dovuta essere “bim bang”, fucilarlo, “così come si faceva ai bei vecchi tempi”.
Due anni fa, il 31 Maggio del 2014, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, con a fianco i genitori del Sergente Bergdahl , annunciò che dopo quasi cinque anni di prigionia in Afghanistan finalmente Bowe Bergdahl era stato liberato e sarebbe presto ritornato a casa. La liberazione avvenne alla fine di una lunga ed estenuante negoziazione tra gli USA e i Talebani, che alla fine portò ad un accordo: Berghdal in cambio di cinque talebani detenuti nella prigione di Guantanamo sull’ìsola di Cuba.
Nessun americano era mai stato tenuto prigioniero per così a lungo durante la guerra in Afghanistan, nessun soldato in quella guerra era mai stato fatto prigioniero. Per ritrovare un caso simile a quello del Sergente Bergdahl bisognava risalire ai tempi della guerra del Vietnam. Insomma, quello era un momento storico.
Quando l’accordo venne reso pubblico molti politici protestarono, in particolare i Repubblicani, anche alcuni ex-commilitoni di Berghdal iniziarono a farsi sentire. Sembrava per loro assurdo aver scambiato cinque prigionieri per riavere indietro un solo soldato semplice. Un soldato che oltretutto aveva abbandonato la sua postazione e che molti consideravano un disertore. Molti soldati espressero in pubblico il loro disappunto, come ad esempio i sei che vennero ospitati da Fox News, un canale televisivo molto vicino alle posizioni più estreme dei Repubblicani.
Su Fox News i sei raccontarono che Bowe Bergdahl non era un eroe, ma era un disertore che era stato fatto prigioniero dai Talebani e che molti di loro erano morti nel tentativo di ritrovarlo.
Sei anni fa, nel 2010, Bowe Bergdahl scappa dalla sua cella in Pakistan. Quella non era la sua prima fuga. Ci aveva già provato una volta un anno prima, dopo poche settimane dalla sua cattura. Dopo la prima fuga era stato punito, era stato torturato e le sue condizioni di detenzione erano peggiorate. Nel 2010 riuscì di nuovo a scappare. Lui non lo sapeva, ma i Talebani lo avevano spostato dall’Afghanistan al Pakistan perché quest’ultimo era uno stato irraggiungibile dalle forze americane. L’esercito degli USA si trovava in missione in Afghanistan e non poteva per alcun motivo entrare in uno stato sovrano e alleato come il Pakistan. Questa seconda fuga di Bergdahl dura non più di nove giorni. Bergdahl riuscì ad allontanarsi di poco dal luogo dove era stato detenuto perché durante la prima notte di fuga si era ferito ad una gamba. Di giorno si nascondeva in buche nel terreno e la notte si muoveva, spesso strisciando perché la gamba ferita non gli permetteva di camminare, cibandosi sempre e solo di erba.
I Talebani alla fine ritrovarono Bowe Bergdahl. Questa volta non venne punito perché era in condizioni fisiche tali da non poter sopravvivere ad un pestaggio. I Talebani decisero però di non correre più alcun rischio: Bowe Bergdahl venne chiuso in gabbia. Per i successivi quattro anni di detenzione il Sergente dell’Esercito Americano Bowe Bergdahl vivrà in una gabbia di ferro. All’interno della gabbia avrà solo una coperta, un secchio e una bottiglia di plastica.
Quando i soldati lo recuperarono, Bowe Bergdahl non era più in grado di parlare, aveva problemi motori e aveva sofferto di diarrea per cinque anni ininterrottamente.
Sette anni fa, nel 2009, Bowe Bergdahl si trovava nella zona meridionale dell’Afghanistan. Il suo battaglione si occupava di gestire un postazione di controllo chiamata OP Mest. Il Sergente Bergdahl aveva delle opinioni molte forti riguardo a come si sarebbe dovuto comportare un soldato e un ufficiale dell’Esercito. Bowe pensava che gli ufficiali responsabili del suo battaglione non stessero facendo tutto il necessario per tutelare la sicurezza dei suoi compagni.
Bowe voleva parlare con un alto ufficiale per segnalare il problema e per questo motivo decise di creare un DUSTWUN, che sta per duty status—whereabouts unknown, che potremmo tradurre con “abbiamo perso un soldato”.
Bowe sapeva che quando parte un DUSTUWN vengono avvisati tutti i livelli gerarchici dell’esercito. Un DUSTUWN avrebbe fatto abbastanza rumore per poter permettere a Bowe di spiegare cosa stava andando storto nel suo battaglione.
La notte del 30 Giugno del 2009 Bowe mise in pratica il suo piano. Si spogliò, indossò un abito tradizionale afgano che aveva comprato qualche giorno prima ed abbandò OP Mest. La sua idea era quella di arrivare a piedi a FOB Sharana, la base dell’esercito che si trovava a 20 miglia da lì. Bowe immaginava che sarebbero bastate quelle poche ore di assenza per far partire il DUSTUWN.
Durante la notte Bowe perde l’orientamento e si allontana da FOB Sharana invece che avvicinarsi. Il giorno dopo viene trovato da un gruppo di Talebani e viene fatto prigioniero.
Bowe aveva ragione, l’esercito si accorse quasi subito della sua assenza. Le ricerche durarono molte settimane. Uno dei prìncipi fondanti dell’Esercito Americano è che nessuno deve essere lasciato indietro, anche un possibile disertore. Tutte le operazioni militari venneero fermate, tutti gli sforzi vennero spostati sulla ricerca del DUSTUWN. Le truppe vennero inviate in missioni lunghe e pericolose. Decine e decine di giorni lontani dalle basi, lunghi convogli di veicoli blindati che si inoltrano nelle zone più remote dell’Afghanistan. Decine di migliaia di soldati mobilitati per cercare un solo uomo. Perché nessuno deve essere abbandonato.
Una settimana fa, l’8 Aprile del 2016, è stato pubblicato online l’undicesimo e ultimo capitolo della seconda stagione di Serial, il podcast di Sarah Koenig.
La prima stagione di Serial era stata pubblicata nel 2014 e aveva raccontato la storia dell’omicidio di Hae Min Lee avvenuto nel 1999 a Baltimora. La prima stagione di Serial è stata scaricata 80 milione di volte ed è stato il podcast più scaricato di sempre da iTunes.
La seconda stagione di Serial si è occupata del caso di Bowe Bergdahl. Koening è una giornalista eccezionale e sa come raccontare una storia, raccoglie i fili di questa storia complicata e ce li spiega uno a uno. Ogni volta che ci fa ascoltare la voce di un testimone ci racconta chi è, che relazione ha con la storia e se c’è la possibilità che la sua testimonianza sia frutto di preconcetti od opinioni. Se ci racconta un fatto Koening ci spiega che fonti ha usato e quanto possiamo essere certi che i fatti siano andati davvero così. Sarah Koening fa giornalismo di inchiesta ed è una grande narratrice. Il suo Serial è un gioiello di storytelling.
Se ve le cavate un po’ con l’inglese, fatevi un favore e scaricatevi le due stagioni di Serial.
—
Oggi il Sergente Bowe Bergdahl non è più un POW – Prisoner of War (un prigioniero di guerra) ed è tornato a prestare servizio presso l’Esercito degli Stati Uniti d’America. Dopo l’eco mediatico della sua liberazione, dopo tutte le proteste dei soldati e dei politici, l’Esercito ha deciso di processare Bowe in una corte marziale con le accuse di diserzione e comportamento disdicevole.
Bowe oggi sta aspettando che il processo inizi, ma per Bowe aspettare non è un problema.
Pingback: Podcast estivi – 2016 Edition | trenta per cento
Pingback: Roba bella da leggere, ascoltare e guardare (#5) – Speciale Newsletter | trenta per cento
Pingback: Roba bella da leggere, ascoltare e guardare (#7) | trenta per cento