American Flag

Il compagno Michael Jackson

La mia scuola media è iniziata nel 1986 ed è terminata tre anni dopo, nel 1989.

In quel periodo Reagan e Gorbaciov stavano provando a fare la pace. C’era una brutta aria nel mondo. Per noi bambini era un dato di fatto che prima o poi sarebbe scoppiata una guerra e sarebbe esploso tutto. Tra URSS e USA in famiglia noi non si tifava per nessuno. I miei avevano questo background di attivisti del ‘68 e mi avevano insegnato a guardare con sospetto quel rugoso presidente americano che veniva dal cinema. Il puro divertimento e la ricerca del piacere non erano visti di buon occhio a casa, perciò il reaganismo era il nostro acerrimo nemico. Ci si poteva divertire, ma solo con il dovuto rispetto per gli altri e per quella parte del mondo che non era rappresentata dalla bandiera a stelle e strisce.

Nel 1988 gli U2 erano il gruppo musicale che tutti ascoltavano. Ad inizio anno pubblicarono “The Joshua Tree” e tutto il mondo iniziò a cantare “With or without you” e “I still haven’t find what I’m looking for”. Io però ero stato cresciuto nella diffidenza della massa: tutto ciò che piace a troppi, a me non deve piacere. Avevo letto su una rivista che gli anni ‘80 erano il peggior decennio musicale del secolo, di conseguenza tutto quello che aveva successo in quel periodo doveva essere rifiutato con sdegno.

Era impossibile evitare di ascoltare gli U2 in quegli anni, erano dappertutto, su tutte le radio, in televisione, ma io non mi facevo spaventare e combattevo la mia quotidiana battaglia contro il conformismo della band irlandese. Avevo anche scelto un mio personale campione di originalità e libertà di pensiero: ero diventato fan di Michael Jackson.

Era iniziato tutto con il videoclip che Jackson aveva preparato per il lancio promozionale dell’album “Bad”. Il video venne trasmesso in prima serata da Italia Uno, ma io non riuscii a vederlo perché in casa vigeva una severa regola sull’andare a letto alle otto e mezza di sera (perché i bambini hanno bisogno di almeno otto ore di sonno). La storia del video me la raccontarono i compagni di classe il giorno dopo a scuola.

Michael Jackson era un ex criminale, uno che era stato cattivo e aveva pagato il suo debito con la società. Era ritornato a casa, ma i vecchi amici lo prendevano in giro perché era diventato debole e non era più cattivo. A quel punto Michael si arrabbiava e spiegava a tutti che lui era ancora il tipo tosto di un tempo. I cattivi venivano sconfitti e il bene vinceva.

Era un cantante di colore, espressione delle minoranze represse dal capitalismo, cantava temi di riscatto sociale, era famoso, ma nessuno dei miei compagni lo conosceva perché il suo ultimo album era di cinque anni prima: aveva tutte le caratteristiche per diventare il mio eroe.  Mi feci comprare subito la cassetta di “Bad” e al mio compleanno costrinsi i compagni di classe a regalarmi il vinile di “Thriller”. Trovai un poster di Michael Jackson in una rivista di mia cugina e lo attaccai in camera, dove restò per anni e anni; il mio personale eroe proletario, nemico della società perbenista e difensore delle minoranze, mio gemello spirituale.

Quando arrivò “Rattle and hum”, il film che gli U2 avevano girato durante le registrazioni di “The Joshua Tree”, io osservai con un senso di superiorità morale la quasi totalità dei miei amici andare al cinema a vederlo.

Io però mi presi la mia personale rivincita quando al cinema arrivò “Moonwalker” con Michael-Eroe-del-Popolo-Jackson. Costrinsi il povero D’Onofrio, mio compagno di banco e fraterno amico, ad accompagnarmi a vedere quello che sarebbe stato di sicuro un’esperienza sublime e politicamente costruttiva. Il film fu una delusione incredibile. La mia fede subì un duro colpo.

In quel periodo passavo quasi tutti i Sabato pomeriggio al cinema con D’Onofrio. Di molti di quei film ricordo alcuni dettagli in maniera precisa. La sala esaltata da Sylvester Stallone che scoccava le frecce esplosive in “Rambo III”. Ricordo la gente che faceva la fila per vedere “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”, il cinema vuoto in cui vedemmo “Rain Man”, io che convinco i miei amici ad andare a vedere “32 Dicembre” di De Crescenzo perché l’estate prima mia zia a Napoli mi aveva portato a vedere “Così parlò Bellavista” e ci eravamo fatti un sacco di risate (anche se io non avevo ben capito tutto il film).

E ricordo benissimo quando mamma mi portò a vedere “L’ultimo imperatore”. Era il 1988 e io avevo dodici anni. “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci era un film importante e famoso, aveva vinto un sacco di premi Oscar e in televisione se ne parlava da settimane. Tutti parlavano della bellezza delle scene ambientate nell’antica Cina in cui il piccolo imperatore veniva cresciuto. Io e mamma andammo a cinema assieme, non ricordo se ci fosse anche mio fratello minore, ho sempre pensato ci fosse anche lui, ma adesso, ripensandoci meglio, aveva solo 8 anni e non penso fosse un film adatto per un bambino di quell’età (o forse ricordo bene e mamma ce lo portò lo stesso). Ricordo che la prima parte del film fu esteticamente esaltante, poi scoppiò la seconda guerra mondiale, la trama si fece complicata e io iniziai ad annoiarmi.

Spesso mamma ci accompagnava al videonoleggio a scegliere un film da vedere a casa. I film da vedere li sceglievamo io e lei insieme. Passavo le ore a sfogliare i cataloghi in cui erano raccolte le copertine delle VHS che si potevano noleggiare. Per scegliere il film ci si doveva basare sulle poche informazioni a cui allora si aveva accesso: la copertina della videocassetta, i trailer che passavano in televisione, qualche recensione al telegiornale, notizie su premi o festival vinti, passaparola di amici e parenti. Uno dei primi film che affittammo fu “Stregata dalla luna” con Cher e Nicolas Cage. Il film lo prendemmo perché io ero affascinato da questa Cher di cui avevo letto su un giornale a casa dei miei nonni. Nel giornale c’era un immagine di Cher a figura intera e una lista delle operazioni chirurgiche a cui si era sottoposta per diventare così bella. Il film ce lo vedemmo assieme io e mamma e ci piacque molto. Forse lei si commosse anche un pochettino.

“Platoon” di Oliver Stone invece andò a vederselo a cinema insieme a mio padre un Sabato sera. Mi spiegò che a lei piacevano molto i film sul Vietnam e perciò doveva andare. Io e mio fratello li aspettammo a casa degli zii. Il film, mi disse, non le era piaciuto molto.

Durante la mia terza media iniziò ad esser chiaro che Reagan aveva vinto e Gorbaciov stava perdendo.

La guerra in Afganistan, quella a cui aveva partecipato anche Rambo, era finita e tutti guardammo in televisione l’ultimo dei soldati sovietici attraversare il confine e ritornare a casa. Qualche mese dopo scoppiarono le proteste anche in Cina, così rividi le mura della Città Proibita dove aveva giocato l’ultimo imperatore e scoprii che la spianata là di fronte si chiamava piazza Tienanmen,

E mentre succedeva tutto questo pandemonio, la mia passione per la musica di Michael Jackson veniva piano piano abbattuta sotto i colpi delle sue plastiche facciali e delle notizie sul suo assurdo stile di vita. Poi un giorno mio padre portò a casa un album su due audiocassette dal titolo “A Momentary Lapse of Reason” e nell’estate del 1989, in diretta da una piattaforma galleggiante a Venezia, vidi in televisione il mio primo concerto dei Pink Floyd.

Era la mia ultima estate prima del liceo e io ero pronto a cambiare colonna sonora.

Questo racconto fa parte di una serie. Hai appena letto la quinta puntata.

Prima Puntata

Seconda Puntata

Terza Puntata

Quarta Puntata

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4 Pensieri su &Idquo;Il compagno Michael Jackson

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