Venerdì 4 novembre, alle 18:00, io e Alessio De Lillo racconteremo la vera storia di V for Vendetta. L’evento è organizzato dall’associazione BN.Comix e si svolgerà nell’aula magna del Liceo Classico “P. Giannone” di Benevento.
Finita la parte istituzionale posso adesso spiegarvi perché ho scritto questo post. V for Vendetta è il fumetto che ho letto più volte nella mia vita. Posseggo diverse edizioni dell’opera, da quella che uscì come allegato a Corto Maltese fino all’Absolute Edition in lingua inglese. Sono un fan sfegatato insomma.
Perciò avrei voluto passare ore e ore a raccontarne ogni singolo dettaglio, ogni vignetta e ogni dialogo. Ma io e Alessio abbiamo a disposizione novanta miseri minuti, perciò abbiamo dovuto tagliare un sacco di roba. Questo post raccoglie 5 di quelle cose tagliate e che se avessimo avuto un po’ più di tempo sarebbero entrati nella nostra presentazione.
I. De André canta V for Vendetta
Una cosa un po’ scontata forse, ma per me importante. Avrei voluto fare una breve divagazione su altri autori che hanno raccontato l’anarchia con le loro opere. In Italia il più famoso è forse Fabrizio De André e il suo Storia di un impiegato. Il disco nasce dall’esigenza di De André di raccontare e elaborare le lotta armata, le bombe e il suo pensiero politico. Ne venne fuori un disco che e piacque poco, un disco da cui lo stesso De André si distaccò ben presto dicendo di aver fallito, di non essere riuscito a esprimere un pensiero poetico, ma di aver invece imposto agli altri il proprio punto di vista. Anche nell’accettare e rielaborare le critiche De André era maestro.
A me invece il disco è sempre piaciuto ed ha avuto, insieme a V for Vendetta, un posto importante nel mio personale percorso politico.
Avrei voluto far ascoltare “Nella mia ora di libertà” come antipasto del secondo libro di V for Vendetta.
Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.
II. Alan Moore canta George Orwell
Avrei voluto raccontare la storia di “Decline of an English Murderer”.
Nel 2012 Alan Moore ha scritto e cantato una canzone dal titolo The Decline Of English Murder. E già, perché il nostro Moore oltre ad essere uno scrittore, un fumettista, un mago e un performer, è anche un cantante. Negli anni ha scritto ed interpretato 6 album e il 5 Novembre del 2012 ha pubblicato presso la casa discografica Occupation Record la canzone in questione. Il ricavato delle vendite è stato completamente devoluto a sostegno del movimento Occupy.
Sarebbe stato interessante raccontare questa parte della carriera di Moore poco nota per poi magari approfondire un po’ il tema della canzone.
Perché nulla che fa Alan Moore è semplice e lineare. Anche dietro una piccola canzone di pochi minuti c’è sempre almeno una storia interessante da raccontare.
The Decline of Englih Murder è il titolo di un articolo che George Orwell scrisse nel 1946. Orwell apre il suo articolo descrivendo la tipica scena di una domenica pomeriggio passata in una casa borghese inglese.
It is Sunday afternoon, preferably before the war. The wife is already asleep in the armchair, and the children have been sent out for a nice long walk. You put your feet up on the sofa, settle your spectacles on your nose, and open the News of the World. Roast beef and Yorkshire, or roast pork and apple sauce, followed up by suet pudding and driven home, as it were, by a cup of mohagany-brown tea, have put you in just the right mood. Your pipe is drawing sweetly, the sofa cushions are soft underneath you, the fire is well alight, the air is warm and stagnant. In these blissful circumstances, what is it that you want to read about?
E cosa si legge sul giornale? Ma di un omicidio chiaramente.
Orwell continua elencando i principali casi di omicidio di cui si è occupata la stampa inglese tra la fine dell’Ottocento e i la prima metà del Novecento. Riesce quindi a tirare fuori uno “schema classico” dell’omicidio da giornale, quelle storie di cui il pubblico è ghiotto e che allora (come oggi) riempiono i media.
The murderer should be a little man of the professional class — a dentist or a solicitor, say — living an intensely respectable life somewhere in the suburbs, and preferably in a semi-detached house, which will allow the neighbours to hear suspicious sounds through the wall. He should be either chairman of the local Conservative Party branch, or a leading Nonconformist and strong Temperance advocate. He should go astray through cherishing a guilty passion for his secretary or the wife of a rival professional man, and should only bring himself to the point of murder after long and terrible wrestles with his conscience. Having decided on murder, he should plan it all with the utmost cunning, and only slip up over some tiny unforeseeable detail. The means chosen should, of course, be poison. In the last analysis he should commit murder because this seems to him less disgraceful, and less damaging to his career, than being detected in adultery.
Torniamo ad Alan Moore e alla sua canzone con lo stesso titolo del pezzo di George Orwell. Il testo della canzone racconta di due persone, un lui e una lei, che hanno una vita “normale” e “borghese”. Si parla di acquisti compulsivi, di file alla posta e di lavanderie a gettoni per poi chiudere commentando che:
Your average sociopath at least kills
With a hammer or brick not with greed and incompetence
And after two or three years they’ll express remorse
Il vostro tipico sociopatico almeno uccideva con un martello o un mattone, non con l’avidità e l’incompetenza, e dopo duo o tre anni comunque avrebbe mostrato del rimorso.
III. La politica delle sorelle Wachowski
Chiaramente parleremo del film del 2005 tratto dal fumetto di Moore e Lloyd e prodotto dalle sorelle Wachowski, però avrei voluto dedicare un po’ più di tempo alla filmografia di queste due registe.
Perché secondo me Lana e Lilly Wachowski hanno provato, fin dall’inizio della loro carriera, a fare quello che Moore era riuscito a compiere con V for Vendetta: coniugare la letteratura di genere con i grandi temi di politica. Le Wachoski ci hanno provato per tutta la vita a fare dei film action americani che contenessero un forte messaggio politico, ma probabilmente hanno sempre fallito.
“Matrix” fu una piccola rivoluzione formale e di contenuto, era un film che veicolava anche un racconto filosofico, magari banalotto, ma ne venne fuori comunque un film interessante. I successivi capitoli della trilogia hanno invece dimostrato tutta la limitazione dell’approccio delle Wachoski e il contenuto “politico e filosofico” dei loro film si è trasformato in lunghi e pedanti pipponi inseriti a caso nella trama. Prendete ad esempio “Cloud Atlas”, il loro film più riuscito negli ultimi anni, un film corale, con un bel ritmo e una solida regia, alla fine è comunque pieno di messaggi “moralistici” piazzati un po’ a caso, sbattuti in faccia allo spettatore e sottolineati da una colonna sonora fin troppo enfatica (e io sono uno di quelli a cui le cose enfatiche piacciono).
Insomma, avrei voluto parlare dei difetti dei film delle Wachoski per mettere ancora più in evidenza i pregi dell’opera di Alan Moore.
IV. Il conto Montecristo
Nel film del 2006, più che nel fumetto, si fa spesso notare come la storia di V sia simile a quella di Edmond Dantes nel Conte di Montecristo. Io non ho mai letto il libro di Dumas (ma il mio amico Nicola lo mette tra i suoi preferiti), ma nel 1997 ho visto il Conto di Montecristo di Ugo Gregoretti. Era uno sceneggiato prodotto per la RAI ispirato al libro, ma ambientato in Italia durante gli anni di Mani Pulite.
In quegli anni fu un piccolo caso, Gregoretti ebbe mille difficoltà a produrre e far trasmettere il Conto di Montecristo. Alla fine ci riuscì, ma la RAI lo trasmise in orari notturni e con pochissima promozione.
Per ridurre il costo di produzione a Gregoretti venne l’idea di contattare alcuni disegnatori di Dylan Dog e far disegnare a loro le scene d’azione. I disegni vennero allora affidati alle sapienti mani del maestro Bruno Brindisi, uno dei principali esponenti di quella che venna chiamata la “scuola salernitana”.
Se avessi avuto tempo avrei spiegato di come le “storie classiche”, le “favole”, i “miti” possono sempre essere usate per raccontare la contemporaneità, dall’Inghilterra della Thatcher all’Italia di Di Pietro e Berlusconi.
V. P for Pulcinella
Nel fumetto V non indossa sempre la maschera di Guy Fawkes, c’è una scena nel primo libro in cui il nostro “eroe” indossa una maschera di Mr. Punch.
Mr. Punch è una personaggio tradizionale inglese che si ispirta alla commedia dell’arte italiana. Il pupazzo di Mr. Punch è infatti derivato dal nostro Pulcinella. Le storie di Mr. Punch and Judy (di solito è questo il titolo dello spettacolo in cui si esibiscono le maschere) sono violente e spesso si concludono con la morte di uno dei personaggi.
Nel 1994 Neil Gaiman e Dave McKean hanno rispettivamente scritto e disegnato un fumetto dal titolo “La tragica commedia o la comica tragedia di Mr Punch” in cui raccontano a modo loro la storia di Mr. Punch.

Pulcinella di McKean
Avrei voluto raccontarvi di come V sia anche un po’ Pulcinella, ma non si può. Perciò andatevi almeno a recuperare il fumetto di Gaiman e McKean.

Grazie per la pazienza
Pingback: La vera storia di V for Vendetta | trenta per cento
Pingback: Seghe mentali su Westworld | trenta per cento